Simone Moro è uno degli alpinisti ed himalaysti più forti e conosciuti del mondo. Bergamasco, classe 1967, ha scritto la storia delle salite sugli Ottomila nella stagione più fredda. E’ l’unico, infatti, ad averne scalati 4 in prima invernale: Shisha Pangma (con Piotr Morawski, nel 2005), Makalu (con Denis Urubko, nel 2009), (Gasherbrum II (con Denis Urubko e Cory Richards, nel 2011), Nanga Parbat (con Alex Txikon e Ali Sadpara, nel 2016). In totale ha salito 8 delle 14 vette più alte del mondo, tra cui 4 volte l’Everest. Difficile fare un elenco di tutte le sue salite. Basti dire che, a oggi, vanta 70 spedizioni alpinistiche. Come dire: una vita intera dedicata alla montagna e all’alpinismo. Non a caso la sua è una storia che parte da lontano, da quando era poco più di un bambino. A 13 anni è già tempo per le sue prime scalate con il papà. Di lì a poco, invece, le Dolomiti sono le montagne delle sue prime “spedizioni”. Poi, arriva la rivoluzione, anzi l’illuminazione della nascente arrampicata sportiva. Nel 1985, a 17 anni, è uno degli atleti della prima, storica, gara di arrampicata sportiva di Bardonecchia. La roccia è il suo mondo. L’arrampicata il suo modo di essere, il suo sport. Sono gli anni delle gare e della maglia azzurra. Dal 1992 al 1996 diventa l’allenatore della nazionale italiana. Quelli sono i tempi eroici in cui il futuro sport olimpico si forma. Ed è il tempo dei pionieri che si dividono tra le gare sulle prime strutture artificiali, la roccia delle falesie e l’alpinismo. Così fa anche Simone che si ritrova in Himalaya, a fare i conti con il suo primo Ottomila. E’ il 1992, lui è l’allenatore della nazionale di arrampicata sportiva, ha un livello su roccia di 8b e l’Himalaya… lo conquista. Da qui il suo viaggio prende la direzione che l’ha accompagnato fino a oggi. Un percorso intenso. Denso di avventure e di successi. Ma anche, inevitabilmente, di tentativi e di fallimenti. Di incontri che l’hanno segnato. Di delusioni cocenti e di felicità indicibili. Sempre con la stessa voglia di superarsi, e di scoprire cosa c’è oltre la cima, che aveva quel bambino tredicenne all’inizio della sua vita verticale.
È un pilota di elicotteri specializzato in salvataggi in Himalaya e nel 2012 ha effettuato un salvataggio in long-line sul Tengkangpoche a oltre 6.400 m. e oggi ha una sua azienda elicotteristica nel bergamasco.
Tra i suoi numerosi riconoscimenti, ha ricevuto il “Pierre de Coubertin Fair Play Trophy” dall’UNESCO, il “David A. Sowles Award” dell’American Alpine Club e la Medaglia d’Oro al Valor Civile del Presidente della Repubblica Italiana per l’estremo e pericoloso salvataggio del giovane alpinista britannico Tom Moores sulla parete ovest del Lhotse (8.516 m.) in Nepal, da solo, al buio, con un altissimo rischio valanghe e senza ossigeno. “Best of The Explorersweb” per la migliore impresa alpinistica e “Golden Piton Award” della rivista americana Climbing per la salita invernale del Gasherbrum II.
Autore di tredici libri, tra cui il suo primo Cometa sull’Annapurna sulla tragedia che lo coinvolse e dove perse la vita il grande alpinista Anatolji Bukreev, suo amico e mentore, e due dedicati al mondo aziendale “Devo perché posso” (2017) e “Il team invisibile” (2021). I suoi libri sono stati tradotti in inglese, tedesco, spagnolo, russo, bulgaro e polacco.